L’influenza dell’esposizione precoce dei media sull’attenzione dei bambini

Pubblicato il 08/04/2020 - lettura stimata: 6 minuti

Come i media influenzano le funzioni esecutive nel cervello infantile

Sono ormai numerose le ricerche trasversali che confermano il ruolo della televisione nella riduzione delle capacità attentive nei bambini. Mancano tuttavia degli studi longitudinali che possano analizzare come e quanto l’esposizione precoce possa evolversi nell’età scolare. Gli studi più recenti hanno voluto quindi testare l’ipotesi secondo la quale la visione della TV nei primi anni di vita possa essere correlata a deficit attentivi a 7 anni.

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L’esposizione ai media come fattore di rischio per l’insorgenza dei deficit di attenzione

L’epidemiologia clinica degli ultimi decenni ha formulato nuovi dubbi sui fattori di rischio dei disturbi del neurosviluppo infantile.

Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) ha un tasso di incidenza tra il 4% e il 12% nella sola popolazione infantile degli Stati Uniti (Brown et al., 2001; Scahill et al., 2000). Anche se é considerato il disturbo più comune tra i bambini esistono ancora diversi punti da chiarire riguardo la sua eziologia (Brown et al., 2001; Scahill et al., 2000).

In letteratura infatti ci sono pareri piuttosto contrastanti sulla sua natura anche se è nota l’influenza dei fattori ambientali sulla sua insorgenza. Nella maggior parte dei casi l’ADHD é una condizione che può essere ereditata e questo ha permesso agli studiosi di focalizzarsi sulle caratteristiche biochimiche e strutturali del cervello dei bambini affetti dal disturbo (Barkley, 1998; Cantwell, 1996).

Gli studi condotti sui gemelli monozigoti hanno infatti confermato una probabilità di manifestare l’ADHD tra il 50% e l’80% rispetto il gruppo di dizigoti (Barkley, 1998; Stevenson et al., 1993). Sottolineare l’enfasi sui fattori strutturali rischia tuttavia di sottovalutare l’influenza delle esperienze infantili sulla modulazione e lo sviluppo dei problemi attentivi (Joseph, 2000).

Ricerche recenti hanno dunque puntato i riflettori sull’interazione tra geni e ambienti per spiegare come possa contribuire alla severità e al decorso dell’ADHD (Jensen, 2000; Campbell, 2000; Faraone et al., 2000). A tal proposito é bene ricordare come lo sviluppo cerebrale dei neonati sia incredibilmente rapido nei primi anni di vita e presenti alti livelli di neuroplasticità durante tutto questo periodo (Barkovich et al., 1988; Yamada et al., 2000). L’esposizione a diversi tipi di stimolazione ambientale può quindi influenzare il numero e la densità delle sinapsi neuronali (Wallace et al., 1992; Turner et al., 1985).

Il tipo e l’intensità di esperienze sensoriali (audio e video) durante l’infanzia potrebbero avere profonde ripercussioni sullo sviluppo cerebrale. Rispetto al ritmo con cui la vita reale si svolge i media stravolgono le aspettative dei bambini più piccoli perché ritraggono scenari ed eventi in rapida evoluzione.

Un aspetto che da una parte può essere stimolante ma che produce effetti deleteri sulla durata dell’attenzione nei bambini (Singer, 1980; Healy, 1990). In alcune ricerche questa ipotesi é stata indicata tra i fattori di rischio per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Hartmann, 1996).

Koolstra & Van Der Voort hanno scoperto infatti che la frequenza dell’uso della TV poteva influenzare il livello di lettura e di attenzione in età scolare (Anderson et al., 2001). E’ proprio partendo da queste ricerche che l’American Academy of Pediatrics ha indetto delle linee guida rivolte ai genitori invitandoli a non lasciare che i bambini con età inferiore ai 2 anni abbiano libero accesso alla televisione (American Academic of Pediatrics, 1999).

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Il ruolo della televisione nello sviluppo neuronale

Lo studio di Christakis et al. ha voluto quindi approfondire in quale misura l’esposizione ai media potesse influenzare lo sviluppo neuronale e in che modo ciò si riflettesse nei problemi attentivi.

I dati utilizzati provenivano dal protocollo National Longitudinal Survey of Youth 1979 (NLSY79) promosso dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti volto a raccogliere informazioni sullo stile di vita e le condizioni di salute di quasi 12 700 con un’età compresa tra i 14 e 22 anni.

A partire dal 1986 l’NLSY79-Child si é occupata di raccogliere le informazioni riguardanti 11000 bambini figli di genitori studiati dal precedente progetto.

Il campione dello studio di Christakis et al. (2004) era composto da bambini di 7 anni provenienti dalle tre annate di raccolta dati più recenti: 1996, 1998 e 2000. Per poter misurare i problemi attentivi é stata utilizzata la sottoscala iperattività del Behavioral Problems Index (BPI) che presenta items come “il bambino ha difficoltà a concentrarsi”, “é spesso confuso” o “é irrequieto” (Center for Human Research, 1993).

Nel modello sono state inoltre valutati criteri come:

  • età
  • sesso
  • etnia
  • supporto emotivo del bambino
  • uso di alcol o tabacco durante la gravidanza
  • autostima materna a partire dal 1987
  • educazione scolastica e stato civile della madre

La variabile principale dello studio é stata infine il numero di ore passate alla televisione dai bambini sia durante il giorno che durante il weekend.

I risultati hanno dimostrato che il rischio di sviluppare deficit attentivi é significativamente correlato alla frequenza di esposizione ai media. Nei soggetti di un anno con una deviazione standard rispetto alla media vi era il 28% di possibilità di avere problemi attentivi a 7 anni, un effetto che era possibile riscontrare anche già dai 3 anni di età.

Lo studio di Christakis et al. (2004) ha permesso quindi di aggiungere alle conseguenze deleterie dei media anche la disattenzione oltre ai già tristementi noti comportamenti violenti e sviluppo dell’obesità (Robinson 1993; 2001).

In conclusione le ricerche come questa appena descritta invitano gli adulti ad intraprendere azioni preventive nel rispetto dello sviluppo cognitivo e comportamentale dei bambini. Limitare l’esposizione ai media durante gli anni critici del neurosviluppo in linea con le raccomandazioni della comunità scientifica può aiutare a ridurre il rischio di disturbi come l’ADHD.

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Fonti:

Brown R.T., Freeman W.S., Perrin J.M., et al. (2001) Prevalence and assessment of attention-deficit/hyperactivity disorder in primary care settings. Pediatrics;107(3)

Koolstra C., Van der Voort T., (1996) Longitudinal effects of television on children’s leisure time reading: a test of three explanatory models. Hum Commun Res.;23:4–35

McCarty D., Christakis A., Zimmerman F.J., DiGiuseppe D.L., Carolyn A., (2004), Early television exposure and Subsequent Attention Problems in Children DOI: 10.1542/peds.113.4.708 Pediatrics ;113;708-713

Singer J.L., (1980) The power and limits of television: a cognitive-affective analysis. In: Tannenbaum P, ed. The Entertainment Function of Television. Hillsdale, NJ: Erlbaum:312–360

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